La Cassazione, con la Sentenza 3 febbraio 2016, n. 2116, torna a pronunciarsi in tema di mobbing enunciando il seguente principio: non può ritenersi condotta vessatoria quella posta in essere dal datore di lavoro che richieda al proprio dipendente di svolgere lavoro straordinario o rifiuti di concedere le ferie.
Per mobbing si intende ogni azione di tipo vessatorio posta in essere in modo sistematico e volta a danneggiare il lavoratore.
Pur in assenza di una specifica disciplina legislativa, la Giurisprudenza ha delineato da tempo la fattispecie di mobbing, riconducendo i comportamenti del datore di lavoro ritenuti vessatori a quelli che violano il precetto di cui all’art. 2087 cod. civ. secondo cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Secondo la giurisprudenza tale obbligo implica anche il dovere del datore di lavoro di astenersi da tutte quelle attività che possono definirsi con il termine anglofono di mobbing.
Elemento essenziale, per l’illegittimità dei comportamenti mobbizzanti, è che la vessazione psicologica sia compiuta in maniera costante, sistematica e perduri per un periodo di tempo più o meno prolungato.
La sentenza in commento conferma la posizione giurisprudenziale secondo cui il lavoratore è tenuto a dimostrare che i comportamenti ritenuti illegittimi rappresentano un disegno unitario finalizzato alla vessazione psicologica.
Il caso trova origine nel ricorso di un portalettere al fine di un ottenere il risarcimento del danno biologico morale ed esistenziale connesso alla condotta del datore di lavoro che lo aveva sottoposto a continue richieste ingiustificate di prestazioni di lavoro straordinario, rifiuto di ferie, sanzioni disciplinari.
Il datore di lavoro si difende in giudizio sostenendo la piena legittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati, tutti motivati da una condotta illegittima del lavoratore.
La Cassazione conferma che l’atteggiamento persecutorio non può essere individuato sulla base della semplice presenza di elementi quali richiesta di prestazioni di lavoro straordinario o rifiuto di concedere ferie.
Tali elementi, per integrare una condotta mobbizzante devono essere ingiustificati e devono inserirsi in uno specifico disegno vessatorio, volto alla progressiva demolizione personale e professionale del lavoratore.